Totalselfhatred – “Apocalypse In Your Heart” (2011)

Artist: Totalselfhatred
Title: Apocalypse In Your Heart
Label: Osmose Productions
Year: 2011
Genre: Depressive Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Apocalypse”
2. “At War With Myself”
3. “Teardrop Into Eternity”
4. “Ascension”
5. “Anything”
6. “Dripping Melancholy”
7. “Cold Room Starstained”

“Apocalypse In Your Heart” ha il non solo pregio di rappresentare a distanza di dieci anni dalla sua uscita uno degli ultimi e più brucianti colpi sparati da un genere musicale che all’epoca della sua prima pubblicazione è già saturato da disperati dell’ultima ora: elementi semplicemente saliti sul carrozzone di una tristezza finta, plastica e fin troppo in voga dopo il successo visivo ed estetico della corrente in crescita durante tutto il primo decennio del millennio sulla scia d’atmosfera e stile già tracciata dai precursori scandinavi (Burzum, Strid e Forgotten Woods impossibili da non menzionare) e deviata lungo il successivo lustro dalle opere prime di Bethlehem, Deinonychus, ma soprattutto Silencer ed Abyssic Hate, destinato anche per questo motivo a perdersi nel dimenticatoio in breve tempo; con pochissime eccezioni, saranno infatti proprio i quasi soli Totalselfhatred, insieme agli svedesi Shining (intenti nel 2011 con il settimo “Född Förlorare” a ridefinire ed ampliare la palette del sottogenere dopo lo spartiacque “Halmstad” ed il sesto “Klagopsalmer”), a riproporre svecchiandolo (quantomeno in tempi recenti rispetto alla scrittura di questa breve analisi) questo tipo di tematiche continuando a trasporle, insieme all’altrettanto pregevole e forse solo limitrofa meteora Nyktalgia per un paio di uscite irrinunciabili in una manciata di anni tra il 2004 ed il 2008 del fenomenale “Peisithanatos”, in un contesto musicale qualitativamente elevato ed attuale.

Il logo della band

Ma volendo ritornare al secondo full-length dei finlandesi e soprattutto ai fattori che hanno permesso a questo come ad altri selezionati album del genere, al netto contrario di altri, di restare rilevanti fino ai giorni nostri non può mancare il grado empatico che si prova ascoltando le sette pregiate canzoni inclusevi. Proprio il fatto di risultare vero nella sua personale ricercatezza musicale che trasuda sentimento autentico, piuttosto che una recita, rende l’album sorprendentemente immune al passare degli anni: fin dal debut, i Totalselfhatred non si affidano infatti alla retorica autodistruttiva ed autolesionista fine a sé stessa tanto comune nel filone ma vanno a costruire un percorso di dolore che parte dallo spirito piuttosto che dal corpo, passando poi per l’individuo nella sua accezione fisica, con i suoi dolori e le sue delusioni sentimentali, per concludere poi -come nella più classica delle opere nichiliste- riportando un barlume di speranza nel protagonista; sensazione in questo caso evidenziata in una “Dripping Melancholy” che in particolare ricorda, non casualmente, il mitologico Sisifo (astuto e senza scrupoli ma soprattutto individualista, o ancora simbolo di una guerra a conti fatti insensata con o contro la propria vita) ed il suo trovare la forza attraverso sofferenza e dolore, tramite il peso dell’assurdo ed il moto d’inerzia circolare, nel ciclo meccanico e ripetitivo di inspirazione-espirazione che diventa protesta e ribellione di resilienza, e di sopportazione (da Kierkegaard a Camus) per giungere ad una possibilità di trascendenza.

La band

Musicalmente l’opera tende da un lato quindi a rispettare i canoni del genere già conosciuto durante il precedente decennio, unendo cioè intelligentemente i tratti più efferati del Black Metal e tecniche compositive o tempistiche assimilabili al Doom, ma ovviamente con un gusto musicale e un’evoluzione delle composizioni tanto al di sopra della media da renderla inavvicinata da altri a distanza di dieci anni: basti del resto ascoltare l’inizio della splendida, incredibilmente struggente “Anything”, che guarda da vicino all’oscurità lacustre Dark-Folk dei connazionali Tenhi con una pregiatezza acustica semplicemente introvabile altrove nel genere, permettendo alla band di chiudere un cerchio emotivo aperto con il debutto omonimo e filtrato qui tramite i lead chitarristici degli Agalloch di “Marrow Of The Spirit” dell’anno precedente, rifuggendo l’urbanismo alienato dei colleghi stilistici e rendendola così tanto forte dal punto di vista lirico quanto articolata ed unica dal punto di vista strumentale. Le prime cose che saltano all’orecchio quando ci si tuffa in “Apocalypse In Your Heart” sono infatti l’espressività del cantato e una raffinatezza compositiva generale che sfocia nel drammatico delle melodie, spesso create da una combinazione sovrapposta di differenti chitarre (storte, elettriche e acustiche, e-bow o semplicemente ripulite come in “Ascension”) dialoganti assieme al supporto delle anomale tastiere, rigogliose, quasi sinfoniche ma peculiarmente dimesse (campionanti archi, violini – imprescindibili nel successivo “Solitude” del 2018 ma già cruciali nella distinzione di assalti annichilenti come la “Apocalypse” che apre il disco, sotto al trilinguismo lirico di “At War With Myself” o nel break della squisita e già citata “Dripping Melancholy”).
Di conseguenza va già qui a crearsi un livello di atmosfera particolarmente accattivante per tutto l’album, anche quando i Totalselfhatred prediligono i tempi più scanzonati e dimessi del Depressive Rock dei Katatonia di “Tonight’s Decision” e “Last Fair Deal Gone Down”, come accade ad esempio in “Teardrop Into Eternity”, piuttosto che le lentezze esasperate in crescendo della chiusura “Cold Room Starstained” o le cacofonie scorticanti dell’opener; una sorta di alone nero che riesce ad accompagnare l’ascolto tra gli stili e definisce omogeneamente il mood dell’intera opera nonostante la sua particolare ed estrema variegatura, priva dei cliché Depressive, orgogliosa ed inevitabile terra di nessuno.

Dimenticavi inoltre, com’è forse prevedibile, sonorità laccate o chissà quali tecnicismi: la produzione (quantomeno nella versione originale del 2011 priva del remastering avvenuto nelle ristampe del 2018, e che in ogni caso e senza remore si consiglia qui) resta infatti piuttosto basica quando non addirittura amatoriale, tuttavia non solo un lavoro di suono assolutamente sufficiente ad esprimere il messaggio che la band vuole trasmetterci, bensì perfino accentuante la crudezza di alcuni passaggi lirico-esecutivi proprio grazie al tipo di impatto gretto e poco definito ricreato dal gruppo e proposto in tre quarti d’ora di seconda prova che finisce per essere quella della maturazione nel percorso Totalselfhatred; fatta di tanti ricordi del periodo e di questa corrente musicale più in generale, soprattutto per chi l’ha vissuta in età adolescenziale dove alcuni stati d’animo risultano inevitabilmente amplificati e tendono di conseguenza ad avere un impatto maggiore. Ma la forza di “Apocalypse In Your Heart”, alieno pezzo da novanta nel suo spesso giustamente bistrattato genere, è tutto tranne che dozzinale e rimane dopo un decennio eloquente e descritta del resto fin dal suo titolo; e passa attraverso tutta la sincerità rara di una band tesa e dilaniata in una guerra tra materia e spirito, nell’incapacità finale di distinguere tra la vita e la sua assenza, sospesa tra la lingua inglese per veicolarne i messaggi universali ed un finlandese madre impossibile da non impiegare, con il cuore in mano, nei momenti d’intimismo massimo provvisto di prepotenti picchi in ognuno dei suoi brani.

Giacomo “Caldix” Caldironi

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